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 Patrimonio storico-artistico a rischio
 Mitico Sebeto, un ruscello tra i rifiuti
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Marcello Mottola
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Posted - 03 giugno 2011 :  12:51:45  Show Profile  Visit Marcello Mottola's Homepage  Send Marcello Mottola an AOL message  Click to see Marcello Mottola's MSN Messenger address
Nella zona orientale di Napoli ciò che resta del corso
d'acqua visitato da Petrarca e cantato dagli antichi

NAPOLI - Nella zona orientale di Napoli, all’ombra di un cavalcavia, sopravvive un timido rigagnolo che stenta a farsi strada tra i rifiuti. Sarà lungo non più di una ventina di metri ed è forse è l’ultimo frammento visibile del Sebeto, il mitico fiume che un tempo aveva ispirato poeti e viaggiatori.

Il Sebeto tra i rifiuti: fotogallery





Oggi la sua storia sembra quasi un’opera di fantasia, eppure per secoli ha attraversato baldanzoso la città tuffandosi nelle acque del golfo. Almeno fino a quando i dissesti idrogeologici e le numerose trasformazioni urbane non lo hanno prima ridimensionato e poi letteralmente sepolto sotto infinite colate di cemento e di indifferenza.

Dalle sorgenti della Bolla, alle falde del Vesuvio, nasceva il Sebeto. Il suo percorso si articolava dapprima tra alcuni comuni della provincia per poi costeggiare la collina di Poggioreale, arricchendosi delle acque piovane che defluivano dalle vicine alture. Da placido fiumiciattolo si trasformava allora in un irruente corso d’acqua (da cui il nome Sepetios, «andar con impeto») che poco prima di sfociare nel golfo si divideva in due rami, incontrando il mare in un punto imprecisato tra le attuali piazza Borsa e piazza Municipio e in una zona più a est, verso il Ponte della Maddalena. Le più antiche testimonianze storiche sembrano identificare il Sebeto solo nel ramo che sfociava in mare sotto la collina di Pizzofalcone, presso l’originario insediamento greco, però già sparito in epoche remote dalla geografia cittadina. Successivamente, il nome potrebbe essere stato «trasferito» – quasi per un insopprimibile necessità di mantenerlo in vita – al corso d’acqua che sfociava nell’area orientale. A quel tempo la gente si affacciava sulle sue rive, probabilmente lo navigava.

Quando più tardi la città divenne un importante snodo commerciale, sempre più affollato e affamato di spazio, a farne le spese fu soprattutto il fiume. Nel 1340, affascinato dai lirici racconti fatti in epoca romana da Virgilio, Tito Livio e Strabone, Petrarca si recò sulle sponde del fiume quasi come in pellegrinaggio. Ma ci rimase piuttosto male. «Minuit presentia famam» (la vista deluse la fama), fu il suo laconico commento. Un letto d’acqua bassa si snodava tra i palazzi. Spariva, poi riappariva. Già ridimensionato da numerose deviazioni e derivazioni, era pure per lunghi tratti interrato. Alcuni studiosi ritengono che il fenomeno dell’inabissamento sia stato favorito da periodiche scosse telluriche. Ciò nonostante, le sue acque continuarono timidamente a scorrere, visibili a tratti, per diversi secoli.

Nel 1635, quando a Cosimo Fanzago fu commissionata la costruzione della Fontana del Sebeto(oggi a largo Sermoneta, a Mergellina), doveva già essere più leggenda che realtà. Anche se in alcune foto di fine ottocento ancora si possono scorgere dei contadini che trasportano merci e animali affondando fino alle ginocchia nella melma del presunto Sebeto. A quel punto pare solo un’area da bonificare. Poi nel XX secolo il rapido sviluppo dei quartieri Poggioreale e Ponticelli cancellò le tracce residue del mitico corso d’acqua. Prima di arrivare al Ponte della Maddalena, il Sebeto (o il suo gemello moderno) scendeva a valle attraversando l’area occupata attualmente dall’ex Macello Comunale, una struttura chiusa da qualche decennio e immersa nel più triste degrado. Ma girando dovunque lo sguardo, in ogni anfratto, in ogni angolo di terra libero dai rottami, si vede cresce con forza una flora tipica delle zone paludose: estrema testimonianza del paesaggio originario che costeggiava il vecchio fiume.

Proseguendo idealmente lungo la sua sponda, ci inoltriamo tra le macerie di un’abortita area industriale: scheletri di fabbriche abbandonate, muri crollati o sul punto di crollare. Questo è il regno dei cani randagi e dei parcheggi, dei cassonetti bruciati tra i cespugli d’erbacce e una residua vegetazione fluviale. Le rovine ci accompagnano fino a via Sponsilli, all’incrocio con l’estremità più orientale e dimenticata di Via Ferraris, dove finalmente raggiungiamo l’ultimo lembo del Sebeto direttamente osservabile dalla strada. E’ un tratto di pochi metri d’acqua nera e fetida, su cui galleggiano bottiglie, barattoli di vernice, sedie. Una piccola conca di fango che sembra ribollire sotto il ponte della Tangenziale. Le annoiate prostitute e i clienti affaccendati lì vicino neanche si accorgono che esiste, o forse pensano si tratti di uno dei tanti sbocchi di fogna della zona. Il fiume cantato dai poeti, ricordato nei monumenti, sembra appena venire alla luce solo per gridare il suo dolore e rintanarsi di nuovo – meglio così – nelle profondità di Partenope.

Marco Molino
31 maggio 2011
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2011/31-maggio-2011/mitico-sebeto-rigagnolo-rifiuti-190766186295.shtml
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