Marianna Vitiello
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Italy
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Posted - 17 maggio 2011 : 10:30:42
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Un patrimonio che cade a pezzi mentre l’istituzione sta a guardare
Camminano per strada rigorosamente in fila indiana. Li noti da lontano con la loro pettorina gialla e un cappellino rosso. Attraversano agli incroci quasi marciando, accompagnati da autisti a piedi con la pettorina arancione, una paletta per la viabilità pedonale e un fischietto. Non è un sogno, è un miraggio: stiamo parlando del Piedibus, la strana carovana che cammina in strada, interamente composta da bambini. Si tratta di un servizio nazionale dedicato ai giovani studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado. L’obiettivo è avvicinare il mondo dei piccoli alle vecchie abitudini. Quale miglior modo per farlo se non accompagnandoli a scuola a piedi? Una prima fase pilota del progetto aveva già coinvolto i bambini di Napoli tra l’ottobre e il dicembre del 2010.
Come funziona il Piedibus? Si tratta di un autobus che va a piedi. È formato da una carovana di bambini che si recano a scuola in gruppo, accompagnati da due adulti: uno fa da autista e un altro da controllore e chiude le fila. Come ogni autobus che si rispetti parte da un capolinea e, seguendo un percorso prestabilito, raccoglie passeggeri alle fermate disposte lungo la strada. Durante il cammino i bambini si divertono e chiacchierano tra loro, imparando al tempo stesso nozioni utili alla sicurezza stradale. Ogni Piedibus è diverso da un altro e poco contano le condizioni climatiche: in caso di pioggia ci si può sempre riparare con l’ombrello, ovviamente firmato “piedibus”. Ogni scuola può scegliere di adottare questo servizio, naturalmente chiedendo prima il consenso ai genitori dei bimbi per selezionare i passeggeri del Piedibus. A Napoli il servizio è in piena attività e coinvolge già molti istituti. Tra poco tempo verrà sospeso e riavviato a settembre, in coincidenza con la riapertura delle scuole. Il successo dell’iniziativa è tale che altre 15 scuole partenopee stanno già pensando di partecipare, dal centro della città alla provincia. Il progetto Piedibus a Napoli è vivo e forte anche grazie al sostegno di Anea, l’Agenzia Napoletana Energia e Ambiente, in collaborazione con gli assessorati all’Ambiente, alla Pubblica Istruzione e alla Mobilità Urbana del Comune di Napoli.
Da circa un mese è partito anche il corso di formazione per gli aspiranti accompagnatori del Piedibus, con un albo ufficiale interamente dedicato a loro. «Gestire il Piedibus è molto semplice – spiega Michele Macaluso, direttore di Anea – bastano un autista che accompagna i bambini lungo il percorso e un controllore che chiude le fila e compila un giornale di bordo, con le presenze quotidiane dei giovani studenti. Grazie a esso i bambini potranno incrementare l’attività motoria e la socializzazione, riducendo il traffico delle macchine e inquinando meno la nostra città». L’ultimo allarme è lanciato dal comitato civico Santa Maria di Portosalvo: costruito nel 1406 in prossimità del piccolo largo che rappresentava il primo ingresso alla città, Palazzo Penne «rischia di crollare, come Palazzo Fuga e la chiesa di S. Maria a Piazza». La costruzione storica voluta da Antonio Penne, gran siniscalco del re Ladislao d’Angiò-Durazzo, si trova in cima alle scale di Santa Barbara, a pochi passi dal porto. Nel corso dei secoli è passata di mano in mano a diverse famiglie nobili: prima quella dei Rocco, quindi quella dei Capano. Nel 2002, la Regione Campania ha acquistato l’edificio per cederlo, nel 2004, all’Orientale e inserirlo in un progetto che prevedeva la realizzazione di un polo universitario d’eccellenza, ma i lavori non furono mai avviati. Il 25 novembre 2008 sono stati avviati i lavori di messa in sicurezza dell’edificio. Il palazzo è attualmente sotto la supervisione della Regione e dell’Orientale, che dovranno accordarsi per l’intervento di restaurazione e la destinazione d’uso. È in stato di abbandono: il piazzale dinanzi il portone d’ingresso funge da parcheggio per automobili e motorini. Sulla facciata principale, nell’attuale piazzetta Monticelli tra le crepe, è affissa la targa dell’Unesco. Dura da 30 anni il restauro della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, nel cuore di Forcella. Chiuso a causa dei danni subìti durante il terremoto del 1980, «l’edificio rischia di essere senza futuro come tante altre chiese della città», dice il presidente del comitato Portosalvo Antonio Pariante. La mancanza di fondi e risorse è la principale causa della fine dei lavori. «Il processo di recupero è stato lungo, caratterizzato da impalcature che non sono mai state smontate e non se ne intravede la conclusione – continua –. Difficile intravedere un po’ di speranza se il Cardinale Sepe è costretto a offrire in comodato d’uso cento chiese cittadine per salvarle». Di proprietà del Fondo degli Edifici di culto, la chiesa è tra le più grandi di Napoli. La struttura, la cui costruzione fu avviata durante il regno di Carlo I d’Angiò, fu completata grazie a Roberto d’Angiò nel 1287. Recentemente, un blocco di piperno si è staccato dal cornicione del terzo ordine superiore della facciata ed è caduto in strada. Sontuosa e imponente, è in un vicolo stretto, attualmente circondata da cartoni, sacchetti di plastica e siringhe. Anna Elena Caputano e Lorenzo Marinelli In Piazza Portanova, in una traversa di Corso Umberto I, c’è una delle chiese più antiche della città per fondazione (si hanno notizie sicure sulla sua presenza nel IX secolo). Solo che nessuno conosce il suo nome e non c’è un cartello che dia qualche indicazione. Si tratta della chiesa di Santa Maria in Cosmedin (o Santa Maria di Portanova), una delle sette diaconie cittadine (ossia istituzioni assistenziali in cui si celebrava l’antico rito greco), che oggi si trova in grave stato di degrado. La chiesa, il cui nome deriva dal greco kosmidion (ornamento), ha subito vari restauri e modifiche architettoniche. Non esiste più niente del primo impianto del tempio e sono state rimosse quasi tutte le decorazioni barocche. «La chiesa è chiusa da trent’anni, dopo il terremoto del 1980, ed è sconsacrata – dice l’unica persona in quella zona in grado di dare qualche informazione in più –. Oggi dentro non c’è più niente, solo il pavimento e l’intonaco. E sono anche avvenuti una serie di furti: hanno portato via le statue, il tabernacolo, i calici d’oro. E dire che questa chiesa doveva diventare un museo degli orefici». Per entrare in Palazzo Melofioccolo si attraversa un antico arco. Sul muro, in alto a destra, si nota una scritta in latino, che riporta il nome dell’antico signore che abitava nel vicolo. Uno dei palazzi storici della città in una delle zone più antiche di Napoli (quartiere Porto), datato 1300, conosciuto anche per i film che vi sono stati girati lì dai maestri del cinema italiano, come “Il giudizio universale” di Vittorio De Sica e il “Decameron” di Pier Paolo Pasolini. Ma oggi appare fortemente degradato e in uno stato di totale abbandono. Prima i bombardamenti della seconda guerra mondiale, poi il sisma del 1980, infine i vari crolli di calcinacci che sono avvenuti col passare del tempo ne hanno minato le fondamenta. I portoni antichi sono stati cambiati e le facciate sono rovinate. Al centro del cortile c’è una fontana molto antica (che non è stata mai restaurata nonostante l’intervento di un esperto di belle arti, che ha fatto uno schizzo su come doveva essere anticamente), che ritrae una testa di leone che non esiste più. Lasciate attaccate a un muro da oltre un anno ci sono vecchie impalcature arrugginite, che dovevano servire per i lavori di restauro. E anche se gli abitanti del posto si sono attivati con varie sollecitazioni ai Beni Culturali, è evidente che nessuno è ancora intervenuto. Abbandonato, dimenticato e lasciato tra i rifiuti. Così si presenta il complesso termale romano del Carminiello ai Mannesi, situato nei pressi del Duomo di Napoli. In questo sito archeologico, risalente al I secolo d. C., nel XVII secolo fu edificata la chiesa omonima, distrutta da una bomba nel 1943. Attualmente è chiuso al pubblico ed è in pessime condizioni. Appena arrivati si notano i cumuli di rifiuti davanti al cancello chiuso e le mura rovinate dalle scritte e dai murales. Ci sono anche scritte sul cartello che spiega brevemente la storia degli scavi. L’ente competente è la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli. «Il complesso è tenuto malissimo e spesso i ragazzi riescono a entrare e giocare a calcio tra le rovine – dicono gli abitanti della zona che passano per la strada –. Da qualche tempo si ripete lo stesso copione: l’impresa di pulizia viene, pulisce la strada dai rifiuti ma questi dopo un po’ ritornano di nuovo». Ogni tanto il cancello è aperto per far visitare gli scavi vengono dagli stranieri. «Solo che adesso non viene aperto da mesi per colpa dell’immondizia. Noi residenti della zona ci siamo lamentati spesso per questa situazione».
Marco Borrillo http://www.unisob.na.it/inchiostro/pdf/201107.pdf |
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