Marcello Mottola
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Posted - 25 febbraio 2011 : 16:42:31
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«Guai, quanno ’a Sanità se tira ’a porta»: Eduardo De Filippo, come e più di altri, aveva capito il carattere della Sanità, del rione per antonomasia, tanto che poteva esibire un sindaco tutto suo. Guai, quando la Sanità chiude la porta, la sbarra al vicino, al passante. Guai, «quanno stu vico risponne: no!». Più patrimonio dell’umanità, nel senso vasto, terreste, solidale del termine, più patrimonio della Sanità a Napoli c’è poco altro. Perché bisogna penetrarla con l’occhio allenato e l’animo arrendevole, disposto a capire, ad annusare e non a giudicare. A giugno questo groviglio di vicoli e scale, di bassi e meravigliose chiese barocche, di puosti di verdummari e pescherie aperte tutta la settimana, di catacombe e ipogei, di panni stesi davanti a un portale settecentesco murato e di ragazzini che si ritagliano uno spiazzo di terra battuta, tra carcasse di auto bruciate, tubi catodici sventrati e palazzi sorretti da impalcature di tubi, per poter menare due calci a un pallone, dentro la maglietta sudata di Hamsik, questo labirinto potrà diventare patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, ampliando il già vasto territorio napoletano tutelato dall’Onu. A chiedere in giro, tra bar e bancarelle, mica sanno cos’è l’Unesco. È naturale. Ma una volta capito, l’orgoglio fa volare alto il senso di appartenenza, di identità, di un rione che s’è sempre sentito particolare, unico, ma negletto, segnato a dito. «Dottò, e mo’ che succede? Trovano ’a fatica a mio nipote?». Il senso di appartenenza e il senso della realtà, insieme. Alla pizzeria «’O core ’e Napule» di via Misericordiella, non hanno aspettato un giorno per celebrare nel modo più sanamente oleografico l’avvenimento: una pizza a forma di cuore e una scritta fatta di pasta. Alla Sanità, insomma, non «si tirano» la porta. La aprono. Questo è un quartiere che guarda in alto, per cercare una fetta di cielo tra i palazzi (primo fra tutti quello dello Spagnuolo), per vedere chi passa sul ponte murattiano, per aspettare il paniere della signora al quarto piano che ha ordinato la spesa, perché, tra vicoli, bassi e gradoni di basalto, si sale verso Capodimonte. La Sanità è un cruciverba fatto di caselle orizzontali e verticali. Tocca a chi ci abita o la visita scoprire il senso delle definizioni. Perché ci sono i segni della camorra. La Malasanità non è solo una faccenda di corsie e sale operatorie. Il bar dove hanno ammazzato un pregiudicato è più famoso della casa dove è vissuto sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Perché ci sono i segni di passioni umane come il calcio, con il «Pub del Pocho», o del cinema, il «Caffè del Principe», che qui è uno solo: Totò, nato a via Santa Maria Antesaecula, dove è celebrato con una lapide e un busto dietro un vetro, come un altarino del Cuore di Gesù o di sant’Anna. E c’è la mole potente di Santa Maria della Sanità, la chiesa del Monacone, di quel san Vincenzo Ferrer, predicatore austero che gli abitanti di Vergini, Cristallini e Stella si sono scelti per patrono, come un contrappasso al loro spirito irridente e incline all’eccessiva tolleranza. Perché poi circolano i santini con l’immagine di san Cavani dall’Uruguay. Il profano è sacro e il sacro è profano. Vivo. «Quando i ragazzi della parrocchia, leggendo da Internet, hanno saputo che il rione sarebbe diventato patrimonio dell’Unesco» racconta don Antonio Loffredo, parroco proprio di Santa Maria «c’è stata un’esplosione di gioia come se avesse segnato Cavani». Ecco. Alla Sanità c’è molto da lavorare, ora che arriva la tutela dell’Onu. C’è un grande patrimonio da migliorare e ce n’è ancora di più da scoprire. E c’è la lotta al degrado e la manutenzione ordinaria. Una speranza che non vuole essere tradita o strozzata nella culla. «I beni artistici» continua padre Antonio «non hanno solo un grande valore economico, ma sono un segno di identità». E racconta di come, nel maggio scorso, la gente della Sanità, giovani e adulti, hanno occupato il cimitero delle Fontanelle, quello delle anime pezzentelle, per riaprirlo. Può succedere solo a Napoli e solo alla Sanità, che per restituire al pubblico un bene pubblico bisogna occuparlo: «Sarà stato illegale, ma era giusto farlo. Ci sono decine di opere restaurate, ma chiuse perché non si sa a chi farle gestire. L’assurdo è che c’è gente che lo sa fare bene». La Sanità punta in alto, ma sa guardare pure in basso, sotto terra. Ancora sacro e profano. Qui ci sono le catacombe di San Gennaro e quelle di San Gaudioso e di San Severo. E c’è l’ipogeo dei Togati, sotto un basso di via Santa Maria Antesaecula, che fa angolo con il vico Traetta. Laddove tirava avanti la bottega di un solachianiello, di un calzolaio, hanno scoperto tombe alessandrine del IV secolo. È il buco della Sanità, che per una volta stupisce e non spaventa. Scavata nel tufo hanno trovato una necropoli. La gestisce l’associazione Celanopoli: una crasi tra Carlo Celano, che scrisse la famosa guida seicentesca alla città, e la città stessa. Quando Carlo Leggieri, il presidente, accompagna nel ventre umido di Napoli, si scopre l’altra traiettoria di questo rione verticale. Si entra in una Petra sotterranea. Molto tempo fa, ventiquattro secoli, ciò che è stato sommerso da terra e monnezza era esposto a cielo aperto, alla vista ai passanti: era la potenza di famiglie che non «si tiravano» la porta neanche di fronte alla morte. Perché Sanità e sinonimo di salute e quindi di vita e di futuro. Un patrimonio scolpito nel tufo e nella faccia della gente.
(Articolo di Pietro Treccagno, Il Mattino - 20/02/2011)
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