Marianna Vitiello
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Posted - 02 dicembre 2010 : 11:15:41
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Conversazione con Fabiano Ferrucci
E’ toccato ad un muro della casa del Moralista. Ancora un crollo a Pompei dopo quello del 6 novembre e sempre in via dell’Abbondanza. Un muro perimetrale in tufo che separa il giardino della casa dall’area ancora da scavare. Un crollo che non rappresenterebbe un danno particolarmente ingente, si tratta di una parete ricostruita dopo i bombardamenti del 1943, se confrontato al collasso della domus dei Gladiatotori avvenuto un mese fa, ma che comunque costituisce l’ennesimo segnale di una situazione ad altissimo rischio.
Anche in questo caso la causa è additata all’acqua. Pioggia e cemento, a causa loro la Casa dei Gladiatori è ora ridotta ad un cumulo di macerie. Secondo il Ministro Bondi i crolli sarebbero imputabili alla pressione sviluppata sulle murature perimetrali dal terrapieno che si trova a ridosso delle costruzioni e che per effetto delle abbondanti piogge si imbeve di acqua. A causa della spinta del terreno le antiche pareti della Domus dei Gladiatori sono quindi collassate sotto il peso della copertura in cemento armato distruggendo l’intera struttura, dipinti e decorazioni originali comprese. A Fabiano Ferrucci, professore di restauro presso l'Università degli Studi di Urbino, abbiamo posto alcune domande.
- Siamo all’ennesimo cedimento in pochi mesi: prima il soffitto della Domus Aurea, successivamente un frammento d’intonaco del Colosseo, poi la distruzione della Domus dei Gladiatori a Pompei. Queste terribili ferite al nostro patrimonio archeologico erano evitabili?
Il patrimonio archeologico ha bisogno di attenzioni continue. Nel caso di Pompei si tratta di un’intera città che necessita di restauri e manutenzione costante e la Soprintendenza ha in organico solo tre restauratori e meno di dieci archeologi, a fronte di oltre 500 custodi. Molti edifici hanno strutture a più piani; sono case complete di dipinti e mosaici che hanno 2000 anni e vanno curate, altrimenti crollano, vuoi perché il terreno di aree limitrofe è ancora da scavare e grava contro le murature perimetrali (un terzo dell’antica città di Pompei è ancora da mettere in luce), vuoi perché i solai in cemento armato, realizzati nel secolo scorso, sovraccaricano le murature antiche.
- La notizia dei crolli ha fatto il giro del mondo. E’ stato un disastro clamoroso, che ha anche danneggiato l’immagine del nostro paese all’estero. La Domus dei Gladiatori era considerata ad alto rischio fin dal 2006, quando era stata classificata al grado terzo, in una scala di rischio a quattro livelli. E’ così difficile prevenire un crollo?
La "Schola Armaturarum Juventus Pompeiani" era la palestra degli atleti dell’antica città romana dove furono rinvenute durante gli scavi molte armature adagiate su scaffali ed ora è ridotta ad un cumulo di macerie. I crolli nelle aree archeologiche sono i traumi più eclatanti, quelli che fanno notizia, quelli che generano accuse e vergogna, dentro e fuori i confini nazionali. Ma bisogna riflettere sul fatto che la perdita ancora più grande è invece silenziosa ed è costituita dai chilometri di mosaici, dipinti, intonaci e stucchi decorati che, lasciati all’incuria e all’acqua piovana, si sbriciolano, sbiadiscono al sole, svaniscono, finché i nostri siti archeologici si trasformano in campi di gramigna. E’ una perdita muta e incessante che si può riscontrare percorrendo un qualunque sito archeologico e confrontando lo stato attuale con le foto di scavo.
- Il problema è quindi che si fanno pochi restauri e nessuna manutenzione?
Si, il nocciolo è la manutenzione. Nel caso di Pompei, ad esempio, i tecnici della Soprintendenza, sanno esattamente cosa fare e già molte domus sono state correttamente restaurate a partire dagli anni Novanta, sostituendo le coperture in cemento armato con travi in legno e leggeri tetti di tegole, simili a quelli antichi; l’acqua piovana viene canalizzata ed il terreno viene allontanato dai muri perimetrali. Le competenze ci sono, all’interno del Ministero e all’esterno, nelle imprese e nei professionisti che operano da decenni su quella tipologia di manufatti. Bisogna però che i nostri politici lascino lavorare chi ha le competenze, gli diano i fondi necessari e soprattutto fiducia.
- In molti, tra cui Fulvio Bufi del Corriere della Sera, ritengono che il crollo della Domus dei Gladiatori è un disastro che ha un colpevole: la Protezione civile ed il Commissariamento, una gestione miope in cui l’archeologia e la tutela del patrimonio sono state accantonate in nome del marketing. La causa sarebbe quindi una gestione che sottrae risorse al restauro e alla manutenzione?
Buona parte del patrimonio archeologico necessiterebbe solo di una maggior cura, di prevenzione, manutenzione e interventi di restauro da effettuare prima di arrivare alle situazioni di emergenza ed ai crolli. Il marketing intorno ai beni culturali, dovrebbe essere il modo per recuperare maggiori risorse da investire nella manutenzione e nei restauri. Il problema è che la manutenzione non fa notizia, non porta un ritorno d’immagine immediato, è un’azione silenziosa con frutti che si vedono nel tempo. Per questo interessa ben poco alla nostra classe politica, che preferisce dirottare i fondi su grandi mostre, su restauri di edifici simbolo, come il Colosseo, e su tutto ciò che porta subito lustro e consenso, rinunciando così, irreparabilmente, alla manutenzione ordinaria del patrimonio diffuso sul territorio.
- Il 12 Novembre, musei, biblioteche e luoghi di spettacolo si sono mobilitati con una forma di reazione senza precedenti: hanno chiuso i battenti o promosso azioni di protesta per richiamare l’attenzione sugli effetti dirompenti che la manovra finanziaria potrebbe produrre sul settore culturale, già a partire dal prossimo anno. Nel nostro Paese, il bilancio dello Stato riserva poco più dello 0,2 per cento delle risorse alla cultura. E su questo si vuole intervenire con ulteriori ridimensionamenti. Come è possibile assicurare la manutenzione ed i restauri con fondi così esigui?
Il problema degli stanziamenti esiste, ma ritengo semplicistico e non onesto appellarsi sempre alla mancanza di soldi. Pompei del resto ha una situazione del tutto particolare poiché, grazie alla legge 352 del novembre del 1997, può avvalersi direttamente degli introiti che arrivano dai biglietti venduti, e parte di questi fondi possono essere utilizzati per la conservazione. A Pompei durante gli anni in cui è stato soprintendente Pietro Giovanni Guzzo (dagli anni Novanta fino al 2009), sono stati realizzati numerosissimi interventi, agendo in base ad una graduatoria di rischio, secondo una strategia corretta ed efficace e nel rispetto delle competenze: per ogni domus da restaurare sono stati attivati più appalti paralleli affidati a ditte separate. Hanno quindi operato imprese specializzate nel restauro di dipinti, di mosaici e di superfici decorate (categoria 0S2) insieme ad altre specializzate in restauri strutturali (OG2) ed a quelle specializzate in scavo archeologico (OS25), il tutto coordinato dai tecnici (architetti, archeologi e restauratori) della Soprintendenza. Questo è ad esempio il sistema di affidamento utilizzato per il restauro di Villa dei Papiri e adottato anche dalla Packard Humanities Institute per i restauri sponsorizzati ad Ercolano. Un modello che valorizza le professionalità e porta quindi a risultati di qualità, anche senza imponenti stanziamenti. I mega appalti, che invece affidano ad un unico imprenditore milioni di euro per interventi “chiavi in mano”, non danno nessuna garanzia su chi poi andrà realmente a mettere le mani sulle opere. Sui beni culturali più che grandi appalti una tantum, serve invece continuità e certezza negli stanziamenti che permettono di programmare la manutenzione ordinaria. Non sarebbe inoltre sbagliato affidare alla medesima impresa, unitamente all’appalto principale di restauro, anche la manutenzione programmata, almeno per qualche anno. Gli appalti di restauro dovrebbero includere sempre la manutenzione programmata. In questo modo l’impresa affidataria del restauro eseguirebbe certamente al meglio l’intervento, sapendo che le conseguenze e gli oneri di un restauro mal fatto e di breve durata ricadrebbero su se stessa.
- E’ quindi possibile una gestione più oculata, anche con moderate risorse?
Certamente sì. Va però ribadita la centralità della conservazione, della prevenzione e della manutenzione. Vanno valorizzate le professionalità: archeologi, restauratori, architetti e storici, operai di scavo e disegnatori. Servono appalti trasparenti in un reale regime di libera concorrenza tra professionisti e tra imprese qualificate che garantiscano un livello di qualità alto degli interventi, attraverso leggi volte agli interessi della tutela e non a quelli del mondo imprenditoriale, senza soggiacere a logiche sindacali compiacenti ed ai dettami del mondo della politica, poiché questi sono i veri mali che portano all’incuria ed ai crolli, non la pioggia o il cemento.
(mercoledì 01 dicembre 2010 intervista di MARCELLO MOTTOLA - www.agenziaradicale.com)
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